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sabato 27 febbraio 2016

^Sigh^Life! - Nuovi orrori per Dylan Dog e la nuova vittima sacrificale del seriale

marco galli

Il mese di febbraio ha visto due uscite importanti per Dylan Dog. Si tratta dell'esordio sulla serie regolare dello sceneggiatore Fabrizio Accatino (con i disegni di Luca Casalanguida), sul numero 353 dal titolo Il Generale Inquisitore; e del sedicesimo numero di Dylan Dog Color Fest, con altri tre esordi per certi versi clamorosi ma ormai da tempo annunciati: Ausonia, Aka B e Marco Galli. Partiamo dal secondo.

Il Color Fest è una formula editoriale che fino a oggi ha visto la presentazione di storie brevi, con la "novità" del colore, che hanno cercato di presentare l'Indagatore dell'Incubo con modalità inedite, o per lo meno insolite. Ricordo una storia di Vanna Vinci dove Dylan viene trasformato nella vittima di uno dei tipici personaggi metafisici dell'autrice sarda. Ricordo un numero realizzato tutto al femminile. Ricordo poco altro. La formula del Dylan Dog Color Fest, finora, ha lasciato più cadaveri che vivi. Perché? Perché scrivere storie brevi è maledettamente difficile, e il più delle volte questo arduo compito è stato affrontato dai numerosi autori che ci hanno provato con una certa superficialità, risolvendo in "piccola forma" quanto siamo abituati a leggere sul mensile. 
Il numero 16 supera in parte questo difetto strutturale e concettuale. Della storia editoriale di Ausonia, Galli e Aka B non vorrei dire nulla in questa sede, se non che seguo da anni i loro lavori.

marco galli

Di Galli ho recentemente letto il suo Nella camera del cuore si nasconde un elefante e ho potuto intervistarlo in occasione dell'ultima BilBOlBul (la trovi su LoSpazioBianco.it). Il suo racconto su Dylan è senza dubbio il più interessante. Mi piace la sintesi del tratto, la chiarezza nell'intenzione, l'amarezza e l'inquietudine riflessa generate dal finale. La sua scelta nell'affrontare l'esercizio del racconto breve, nella ricorsività suggerita dal finale, è quella di inserirsi come un flash all'interno di uno sviluppo narrativo più ampio.


aka B

La storia di Aka B ha il maleficio tipico della sua sensibilità ipocondriaca e malsana, dove ogni cosa procede come in un imbuto. Sai che stai precipitando nel buco, non ti piace, ma è inevitabile.
Il giorno prima della pubblicazione avevo avuto la fortuna di leggere in anteprima un suo lavoro in coppia con Pasquale Squaz Todisco, al momento sfortunatamente inedito, La soffitta. La sua realizzazione è interessante e rivela l'approccio intuitivo di Aka B. Squaz aveva una serie di tavole già realizzate ma senza una storia. Le ha date in mano a Aka B, il quale ha creato dal nulla la storia lavorando in giustapposizione con le tavole di Squaz. Funziona, perché il segno di quest'ultimo è ricco di simboli e suggestioni, che rimandano con chiarezza a tematiche specifiche, che per estrema sintesi potremmo definire underground. Se leggi la storia di Aka B senza guardare i disegni, ammesso che ipotizzare questo esercizio a posteriori abbia senso, puoi rintracciare tutti i tratti che caratterizzano il suo stile, la sua visione del mondo e dell'arte.

squaz e aka B, da La Soffitta, storia inedita

In Dylan Dog questa matrice si ripropone, e la sensazione malsana arriva, forse in superficie, ma senza colpire davvero il lettore. Aka B sembra fermarsi esattamente là dove ti aspetti. Non ha originalità o guizzi particolari, per chi lo conosce. Il suo approccio intuitivo non approfondisce.  Pigrizia? Semplificazione? Mestiere? Non so. Quel che è certo è che per un lettore appassionato di Dylan Dog e poco altro, il suo sguardo e il suo segno saranno apparsi tremendamente alieni, e questa in sé potrebbe rappresentare già una sfida vinta.


ausonia

Il punto di non ritorno è però posto dalla prima storia, quella realizzata da Ausonia. Il suo tratto colto, gelido, elaborato immobilizza la storia in una sequenza statica che non sembra offrire alcuno sguardo sulla realtà. L'autore sceglie di omettere qualunque collegamento con l'orrore quotidiano, se non uno: la serialità delle produzioni a fumetti. 
Ausonia segue e sviluppa in un contesto seriale alcune idee già affrontate nel suo precedente lungo lavoro Interni e si permette una feroce riflessione sulla produzione del fumetto Bonelli all'interno del recinto Bonelli stesso. Ecco il paradosso, voluto dall'autore e accolto dal curatore della testata (Roberto Recchioni): Ausonia mette in scena il sacrificio umano (di tempo, forze, energie creative, intelligenza, talento, ecc.) richiesto dalla casa editrice per la realizzazione mensile di Dylan Dog, senza risparmiare una rappresentazione maligna dello stesso e compianto patron Sergio Bonelli. 
Non so dire se la riflessione funziona e arriva nel suo intento. Non so dire in effetti quale sia il reale intento. Come per Interni, l'eccesso di intellettualismo di Ausonia congela eccessivamente la storia. Il lettore non si emoziona. Figuriamoci un lettore senza i codici di accesso a questa riflessione meta-fumettistica. Certo è che appare interessante vedere una tale rappresentazione del lavoro seriale all'interno di un fumetto realizzato dalla Bonelli. La sfida più grande, in effetti, sembra essere propria la possibilità di pubblicare tale lavoro in questo modo, con il consenso della casa editrice. Una vittoria? Un cavallo di Troia?




La visione proposta da Ausonia sembra trovare immediata conferma nel seriale, con l'esordio di Accatino. Quest'ultimo è sceneggiatore intelligente, che ha iniziato in Bonelli, se non erro, sulla serie de Le Storie, con un horror ben scritto ma fin troppo derivativo (La pattuglia), e poi, ancora per Le Storie, con un piccolo gioiello in coppia con Paolo Bacilieri. Era una storia western esemplare (Il prezzo dell'onore) che in compagnia di poche altre vale tutto il progetto de Le Storie.
Ebbene, il suo Dylan Dog n. 353 cade ferito nell'assorbimento edulcorante e normalizzante della legge seriale, e si dimostra spento, prevedibile e privo di qualunque pathos. Le debolezze, ahimè tipiche appunto del mensile, sono: la mancanza di sintesi; l'anti-climax per il quale i cattivi di turno vanno loro stessi dal protagonista, vanificando (su un piano narrativo) tutta la sua indagine; il finale che spiega (certo, senza la solita verbosità, ma nulla davvero cambia) quanto ogni lettore aveva già capito e archiviato, con tanto di sorriso annoiato, dopo la risoluzione dell'evento drammatico che coinvolge Dylan.
Ecco, secondo il principio sostenuto da Ausonia nella sua storia breve, anche Accatino è vittima sacrificale del meccanismo seriale, che tutto consuma e distrugge, in nome di una veste rassicurante, prevedibile e sempre uguale a se stessa. 

1 commento:

  1. Concordo al 100% su tutto. Da Accattino mi aspettavo molto e ho ricevuto poco. Galli ha fatto la storia migliore, davvero notevole, mentre le altre due sono di certo "diagonali" e interessanti ma fin troppo ripiegate nel loro desiderio di intellettualismo a tutti i costi, quasi "snob" nel loro pretendere dal pubblico seriale un approccio Intellettuale che non tutti (anzi pochi) hanno. E questa è una sfida sensata o meno? Se vai allo stadio e pretendi di suonare Bach, puoi accusare il pubblico di essere "ignorante" o forse sei semplicemente tu che ti poni - con quanta consapevolezza e/o cattiveria? - traguardi poco sensati?
    E concordo anche su Ausonia che disintegra Bonelli. Va bene, lo sappiamo, ma che senso ha dirlo all'interno delle stesse pagine che ti ospitano? Qual'è il "premio" che TU autore dai alla casa editrice, quale il contributo, in quale modo arricchisci il personaggio e la testata della quale vieni chiamato a far parte? Stento a capirlo. A questo punto mi pare più conscienzioso ed esattissimo il Texone di Magnus, che non era un arrendersi ma un concedersi a quelle regole, a quei meccanismi, dando il massimo e offrendosi dignitosi davanti a una sfida che non si può vincere in partenza, perchè vincere significherebbe rompere ogni regola e quindi rendere la sfida inesistente.
    Sono stato convoluto e forse non mi sono fatto capire, ma il mio pensiero è esattamente questo. E direi che non vedo il senso di portare avanti un "reboot", una "fase nuova" di un personaggio ospitando autori che vengono solo per denigrarlo. Sappiamo tutti che editori come Bonelli si fondano su certi tipi di regole, sono proprio quelle che - insieme alla qualità - ci spingono a tornare ogni mese.
    In questo senso, ho molto più apprezzato i Tex "alla francese", a colori, che per un personaggio come il cowboy rappresentano davvero un "nuovo inizio" che non si scorda affatto - né pretende di criticare - quelle che sono le sue fondamenta.

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