lunedì 11 marzo 2013

^Sigh^Life! - Critica diacronica


particolare di una cover di shanghai devil, a firma corrado mastantuono


Non è facile seguire le serie numeriche.
Richiede tempo, organizzazione, ordine e passione.
Ed è così che da almeno un anno accumulo ma non leggo Rat-Man di Ortolani; da un semestre Shanghai Devil di Manfredi e così via. Alla fine è solo una questione di fiducia. Perché questa fedeltà non è motivata da un riscontro reale. Pensa, dei due esempi citati, so già che almeno in un caso la mia fiducia sarà malamente tradita.
Il disordine delle serie si muove anche in altro modo.  Leggo Julia in modo disordinato, abbandonando la sequenzialità degli episodi. Almeno fino a marzo, fino al nuovo amore della protagonista, che mi costringerà forse a una nuova ritualità. Tex si muove a blocchi mensili. Storie vecchie di anni che non ho letto, ma l’ultimo gruppo di storie collegate sì. Dipende dal momento in cui ho l’albo tra le mani.
Più attenzione per le nuove nate. Saguaro è stato appena recuperato, uno dopo l’altro, che qui la fiducia va ancora conquistata. Ma Bruno Enna cosa sta cercando di fare? Una domanda cui risponderemo in un altro momento. Le Storie è più semplice. Un seriale non seriale. La lettura disordinata quasi ne giova. E questo, a merito dell’impostazione di un progetto che non è nuovo nella struttura interna, narrativa ed estetica, ma nell'idea di serialità. E chi cerca altro, sbaglia.
E naturalmente, nel seriale disordinato, qualcuno viene abbandonato. Nathan Never addio. Davvero addio. Dampyr, che è tornato nelle mie ritualità per un breve, brevissimo tempo, abbattuto da collaborazioni senza alcuna ispirazione, addio. Dylan Dog no. Nella ritualità non c’è più da troppi anni.
Il disordine seriale ha almeno un pregio che mi piace condividere. Favorisce un’analisi critica diacronica. Quella sana distanza dall'immediato,  quella possibilità utile e divertente di leggere in fila più di un numero di una serie, quella distanza dal sordo clamore (?!) che segue ogni nuova uscita. Ecco, bando alla sincronicità, il distacco dal seriale ne favorisce un’osservazione meno necessaria e contingente. Forse, quello dello sguardo sincronico, è uno dei difetti principali della critica di questi anni. 

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